RIFLESSIONI
Ciò che stiamo per intraprendere, è una spedizione insieme, un viaggio alla scoperta degli angoli segreti della nostra coscienza. E per una tale avventura, bisogna partire leggeri, non possiamo ingombrarci di opinioni, di pregiudizi, di conclusioni: di tutto quel vecchio mobilio che abbiamo collezionato per più di duemila anni.
Dimenticate tutto ciò che sapete su di voi; dimenticate tutto ciò che avete pensato su voi stessi; partiremo come se non ne sapessimo nulla.
Krishnamurti
Non conosco parole più giuste di queste per introdurre la Dentosofia e l’Antroposofia. Condivido in questa rubrica alcune riflessioni, frutto di un percorso personale e professionale. Queste idee non impegnano che me stesso e sono, certamente, pronto a dialogare riguardo queste, nella convivialità e amicizia.
Michel Montaud
La medicina moderna:
- Un’enorme truffa
- La più grande impresa commerciale del secolo
La questione della malattia e della guarigione
La guarigione è una parola di cui non sempre si misura la portata. Certo, tutti pensano comprenderla. Al momento del primo consulto pongo spesso questa domanda ai miei pazienti: «È uno shock per lei se le dicessi che il solo medico per lei, è lei stesso?».
Da millenni i più grandi Saggi situano il potere di guarigione nell’uomo. E questo non stupisce molti. In generale, i pazienti non sono sorpresi e acconsentano. Allora continuo: «Se siamo realmente il nostro proprio medico, perché allora consultare qualcun altro quando ci ammaliamo?»
La risposta è sempre la stessa: «Non si può risolvere tutto, soli».
Questo può sembrare giusto. Quindi consultiamo un terapeuta, i sintomi spariscono e quindi si parla di guarigione. Ma in quale momento siamo il nostro proprio medico in questa vicenda?
Infatti quando i pazienti parlano di “medico interiore”, non pensano ai poteri di auto-guarigione dell’uomo. Sono, ad esempio, il sistema immunitario, la cicatrizzazione, la guarigione delle fratture, che si realizzano tutte da sole, senza il nostro assenso. Si situano sotto il livello della nostra coscienza. Ma la guarigione si limita a questo? Quindi, cosa vuol dire guarire? Guarire è recuperare la salute.
Cos’è la salute? È «lo stato di benessere fisico e psichico, espressione di normalità strutturale e funzionale dell’organismo considerato nel suo insieme» (Treccani). Ma cos’è la normalità funzionale? Per la maggior parte delle persone è: non ammalarsi. Quindi quando poniamo la domanda:
«Cos’è la salute?»
«Non ammalarsi» è la risposta più frequente. Il linguaggio popolare dà definizione ad una parola tramite la negazione del contrario. Eppure questo non è possibile. La definizione di una parola non può essere basata sul suo contrario. Ci scontriamo contro l’evidenza: nel linguaggio popolare non si trova una definizione positiva del termine salute.
Vale lo stesso, per estensione, per il termine guarire. Se non si riesce a dare un senso a questa parola, è perché da decenni ci sbagliamo sulla direzione di pensiero da seguire.
Potremmo rinnovare la definizione di salute in questo modo:
è guarire sistematicamente quando siamo malati. Cosa totalmente diversa dal “non avere malattie”. La salute è la capacità di usare i propri processi d’auto guarigione in qualsiasi momento.
Andiamo oltre nella riflessione.
Questo processo d’auto guarigione vengono usati continuamente. Siamo confrontati, in tutti i momenti, a germi (virus, batteri…), ad aggressioni termiche (le brutali differenze di temperatura ad esempio), e quello che in medicina si chiama fisiologia (o lo stato normale) non è nient’altro che la capacità vitale dell’uomo di adattarsi di continuo. Tutti questi meccanismi si realizzano senza l’intervento della coscienza.
Ma in quale momento finisce l’adattamento ed inizia la malattia? Si potrebbe rispondere:
«quando le capacità d’adattamento sono sommerse di lavoro, si instaura la malattia».
Ma dove si trova la frontiera tra adattamento e malattia? È l’uomo che la definisce.
Infatti quando si ha la febbre, l’aumento della temperatura è prodotta dal corpo. Abbiamo quindi sempre un adattamento del corpo, ma questa volta abbiamo coscienza di questo adattamento e la febbre è considerata come il principio di una malattia. Si chiama sintomo, e questo allora non è più nel dominio dell’incoscienza.
Pertanto se il corpo provoca febbre, quando il bisogno si fa sentire, è che detiene il potere, allo stesso modo in cui l’uomo respira dalla bocca se gli si tappa il naso. Nessuno forza l’organismo ad aumentare la sua temperatura interna, è una funzionale biologica naturale, totalmente inconscia (è la costatazione della febbre che arriva alla nostra coscienza, non la sua attivazione), per tentare di bruciare alcuni “aggressori”. Si può dire che la reazione ad una malattia è anche un normale processo di vita. L’unica differenza, rispetto all’adattamento, è che prendiamo coscienza del sintomo.
L’adattamento potrebbe chiamarsi “malattia guarita senza coscienza”, e la malattia sarebbe allora un “adattamento consapevole”.
Per sostenere questi propositi propongo la seguente riflessione:
«Ci ammaliamo mangiando e guariamo noi stessi digerendo».
(L’esempio riguarda ovviamente un’alimentazione non tossica). Infatti se non assimiliamo gli alimenti attraverso la digestione ci ammaliamo (indigestione, vomito, diarrea). Se dura nel tempo, moriamo. Mangiare non è abbastanza, bisogna digerire.
Tuttavia è vitale mangiare poiché se non lo facciamo, moriamo ugualmente. Abbiamo quindi anche l’obbligo di mangiare.
Mangiare è indispensabile ma non è sufficiente, digerire è un passaggio obbligato. Questa digestione corrisponde alla degradazione delle molecole dei prodotti che arrivano dal mondo esterno. Dobbiamo trasformare tutto per assimilare e permettere tra le altre cose il passaggio delle molecole attraverso la barriera intestinale e polmonare. Non possiamo iniettare direttamente nel sangue gli alimenti non trasformati o l’aria senza causare la morte. Abbiamo quindi l’obbligo vitale di “umanizzare” qualsiasi apporto proveniente dall’esterno.
Siamo di fronte ad una legge della natura:
Tutto ciò che proviene dal mondo esterno è veleno (aria, alimenti) ma ciò nonostante ne abbiamo un bisogno vitale.
A partire da queste osservazioni potremmo dire:
La fame è il “sintomo” della malattia “mangiare”, che è fenomeno naturale, fisiologico ed indispensabile. Ne guariamo digerendo tutti i pasti, dalla nascita alla morte. Per tutti mangiare e digerire sono considerati come un processo normale. Quindi la fisiologia è guarire bene senza sosta.
Mi ammalo mangiando e guarisco digerendo.
Essere in buona salute corrisponde alla capacità di simulare costantemente i processi di guarigione.
Se la normalità è guarire sistematicamente, questo significa che la malattia è una necessità (come il mangiare) e la guarigione è un obbligo (come il digerire).
Potremmo anche comparare la malattia allo squilibrio e la guarigione all’equilibrio. Prendiamo ad esempio la camminata; quando camminiamo il piede destro, ad esempio, si trova per aria pronto a posarsi. In quel momento siamo in disequilibrio, ma non appena il piede tocca terra recuperiamo l’equilibrio, e così non appena il piede sinistro viene sollevato ci trascina in uno stato di squilibrio finché non torna a posarsi sul suolo e ritroviamo l’equilibrio successivo ecc… La camminata è un susseguirsi di equilibri e disequilibri.
In questo esempio, come per la malattia e la salute, il disequilibrio diventa necessità e l’equilibrio un obbligo.
Abbiamo visto che l’adattamento era in realtà una malattia regolata senza l’intervento della coscienza, che mette in atto i processi incoscienti di auto guarigione (come mangiare innesca il processo digestivo), mentre una malattia dichiarata ci fa prendere coscienza.
Ma coscienza di cosa?
Se il nostro organismo è capace di regolare la grande maggior parte degli adattamenti, PERCHÉ la malattia esiste? Ha sicuramente qualcosa da dirci e noi abbiamo obbligatoriamente qualcosa da capire, se no rimarrebbe allo stadio dell’adattamento.
La malattia avrebbe quindi un senso.
Si introduce qui la nazione per perché e del per cosa, ovvero:
Qual è il senso della malattia? Cosa vogliono dire queste patologie? E per quale scopo appaiono? Ricordatevi: Noi mangiamo e digeriamo, per lo più, in maniera armoniosa. Camminiamo senza cadere.
L’armonia è dunque la norma.
Se l’armonia è il naturale, l’uomo malato è un’illusione dell’uomo e un mondo malato è un’illusione del mondo. Le malattie sono a somiglianza del loro ospite (l’uomo), e il mondo è a somiglianza dell’uomo poiché è da questo creato.
Ma l’uomo percepisce il funzionamento di questo mondo allo stesso modo in cui percepisce le malattie: non è un’utopia! Come si può comprendere quest’altro modo di pensare?
È giunto il momento alcune modi di pensare dell’Antichità. Quando i nostri antenati illustri parlavano di un “medico interiore dell’uomo”, facevano allusione all’essere psico-affettivo, ovvero l’essere che pensa e che prova e non solo ai processi d’auto guarigione inconsci.
Annunciando che la malattia è una necessità e la guarigione un obbligo, come normalità, osserviamo che oscilliamo per tutta la durata della nostra vita, in maniera fisiologica, tra queste due. Il direttore d’orchestra di questa sinfonia è il funzionamento psico-affettivo. Questa indole ci fa propendere da un lato o dall’altro e in ogni momento dovremmo sapere dove dirigerci per comprendere la malattia. Possiamo sempre scegliere tra caos e armonia o malattia e guarigione (e non solo sollievo). La malattia è una funzione biologica naturale, come la vista o il respirare.
LA MALATTIA È PARTE DELLA SALUTE
La malattia diventa allora un’amica poiché ci dà senso. Ci guida costantemente per dire: «Non sei sulla buona strada. Non è grave, basta consultare la tua mappa e ritornare all’incrocio precedente. Allora sarai sulla via della guarigione».
Questa guarigione (ma anche la malattia) proviene sempre dall’interno (ovvero dal nostro essere), mentre molte persone pensano provenga dall’esterno.
La malattia deve farci prendere coscienza del fatto che il nostro modo di funzionare non è armonioso, ed esiste per avvertirci e permetterci di cambiare.
Ecco il vero senso della malattia:
Una presenza necessaria per svegliarsi e giungere ad una guarigione indispensabile per “crescere”.
E quando saremo tutti “cresciuti”, la malattia non avrà più ragion d’essere. Non avrà più nulla da dirci. Si fermerà allo stadio dell’adattamento. Si comprende meglio perché la malattia accede alla nostra coscienza invece di restare allo stadio dell’adattamento inconscio.
La malattia assume quindi tutta un’altra dimensione e la guarigione tutto un altro senso. Vedremo, in questa opera, come gli eventi della vita possono portare all’essere umano ciò di cui ha bisogno per avanzare nella comprensione della propria storia e innescare le proprie guarigioni.
Ecco quello che avevo scritto riguardo malattia e guarigione, nel 2007, nel mio primo libro “Denti & Salute”.
Come possiamo confrontare questa riflessione con la medicina attuale?
La malattia è presente per comunicare con noi. Lo farà tramite apparizione di sintomi; questi sintomi non sono altro che osservazioni visibili di un cambiamento funzionale dell’organismo. La medicina odierna le identificherà per catalogarle in diversi gruppi che definiranno le malattie e queste malattie saranno designate da nomi, a volte il nome stesso di colui che ha ne scoperto per primo i sintomi. Quindi a tutte le malattie viene dato un nome a seconda dei sintomi che non sono che osservazioni esterne inventariate; siamo in presenza delle conseguenze di una malattia che si innesca perché NOI – i malati – ne troviamo le cause.
Quando la medicina fa la sua diagnosi e dà un nome alla malattia, non conosce affatto le cause primarie originarie della patologia.
Però di fronte a queste malattie la scienza medica elaborerà medicine chimiche che dovrebbero guarire le malattie, medicine per controbilanciare delle conseguenze, cioè gli effetti della malattia.
Ma come si può sperare di guarire se non si va in fondo fino alle cause della malattie?
E allora si pone un’altra questione:
Ma in quale momento interviene il malato?
Quando avviene la presa di coscienza della propria malattia?
La maggior parte del tempo non esiste e il malato non interviene. Consegna il suo corpo alla medicina senza alcuna consapevolezza né coscienza e richiede una guarigione dall’esterno.
Nel 90% dei casi la guarigione sopraggiunge perché le forze di auto guarigione sono sufficienti e l’assunzione in concomitanza di farmaci non serve a nulla ma i pazienti non lo sanno e i medici, il più delle volte, nemmeno poiché è stato loro insegnato che i loro farmaci fosse davvero efficaci e curassero realmente le persone.
Infatti una persona malata senza coscienza è certamente in preda alla paura poiché la malattia è una forma di depressione del corpo e quando l’uomo è in depressione, ha paura. Ebbene la paura è sempre mantenuta dall’ignoranza; abbiamo sempre paura di ciò che non conosciamo (uno degli esempi maggiormente evocativi è il cancro, questa spada di Damocle che può può caderci addosso in qualsiasi momento perché la medicina non sa nulla sulle cause profonde del cancro).
Uno dei primi strumenti di “guarigione miracolosa” è la diagnosi che farà il medico; fatta la diagnosi, il paziente mette in moto il processo d’auto guarigione naturale unicamente perché il sistema psico-
affettivo non ha più paura: «la medicina ha trovato il nome della mia malattia, quindi la medicina sa, e se sa mi farà guarire».
La diagnosi è il primo placebo scoperto dalla medicina contemporanea. I farmaci sono inutili ma siccome verranno assunti in contemporanea del processo d’auto guarigione, si farà dei farmaci i responsabili della guarigione, e questa verrà giustificata dall’assunzione di tutti farmaci che il medico prescriverà.
Nessuno sarà in grado di parlare di tutti gli effetti che provocheranno i farmaci sull’organismo dei pazienti poiché nessuno ha studiato questi effetti su periodi sufficientemente lunghi. Invece non si può che constatare che le persone prendono farmaci e più ne prendono, come se non smettessero mai di passare di malattia in malattia… e il consumo di farmaci non fa che aumentare allo stesso modo delle “guarigioni”.
La medicina, che sa tutto, ha una risposta irresistibile a questo. “Essendo la durata della vita aumentata, grazie ai progressi della medicina, è normale che gli uomini consumino di più, perché vivono più a lungo”. E si potrebbe aggiungere che sono quindi, di conseguenza, malati più a lungo.
Ma se questa medicina guarisce perché ci sono ancora sempre più malati… e medici sempre più numerosi e oberati di lavoro per malati “guariti”, ecc… Non si può immaginare che la performance della medicina permetta un aumento della durata della vita senza malattie.
Il più sorprendente in questa storia è sentire le risposte di persone centenarie quando li si interroga sulla loro longevità.*
Non hanno praticamente mai visto medici né hanno preso alcuna medicina nella loro vita.
Questo ci incita a pensare che la medicina ci mente quando si attribuisce i suoi progressi all’aumento della durata di vita.
Continuiamo ad investigare e esaminiamo il 10% delle malattie dette incurabili (questa percentuale è del tutto aleatoria). Sono tutte le malattie dove la diagnosi non basta per guarire ed è a questo stadio che si osserva allora che i farmaci, qualunque siano, non hanno effetti sulla guarigione. Ma questo non impedisce alla medicina di continuare a prescrivere i suoi prodotti, questa volta per minimizzare i sintomi e in primo luogo il dolore.
La medicina si permetterà anche di far credere a tutti i malati “incoscienti” del senso della loro malattia che detiene i prodotti della guarigione.
Riprendiamo l’esempio dei tumori, metterà in atto una serie di protocolli applicabili a tutti, che nessun medico ha diritto di contestare, sotto pena di sevizie da parte del consiglio dell’ordine, per giungere ad una percentuale di decessi incalcolabile… bisogna credere che tutte queste persone morte sia “guarite”…
Non dà nessuna possibilità ai malati di provare ad andare altrove se la morte è così frequente dopo la terapia perché gioca sulla paura, questa paura che paralizza e mantiene tutti gli esseri, che puniscono, sotto dipendenza.
Ma come uscire da questa spirale infernale che mantiene volontariamente l’umanità nella paura, garanzia assoluta di una dipendenza totale dall’autorità che “sa”.
L’unica via d’uscita passa tramite un risveglio delle coscienze e innanzitutto tramite una semplice osservazione dello stato dei luoghi del mondo attuale.
Questa passa attraverso le osservazione:
- che solo la medicina ufficiale ha il diritto di parola nei media e che non accetta alcun detrattore che oserà andarle contro;
- che la libertà d’espressione è un’illusione e che non basta proclamare “je suis Charlie” per pensare che tutto può essere detto;
- che la medicina attuale si concentra sulla malattia e non sulla salute e guarigione dell’uomo;
- che se ne frega totalmente dell’uomo se no non ci sarebbe una tale disumanizzazione in particolare negli ospedali. Per confermarlo, chi tra noi sente un reale desiderio di andare a far visita a una persona cara, o fare un consulto in ospedale?
- che il suo solo obiettivo è la vendita di farmaci che non guariranno mai nulla ma che alla lunga provocheranno altre malattie che avranno bisogno di altri farmaci che…
- che la medicina è la più grande impresa commerciale del secolo; per questa basta guardare il CAC 40 per vedere in quale condizione finanziaria si trovano le case farmaceutiche;
- che sarà quindi impossibile risanare il deficit della previdenza sociale poiché le malattie sono e saranno esponenziali.
Sì lo so! Provocherà reazioni ma i più di questi propositi non sono che osservazioni e chi può negarli?
Una volta fatte queste osservazioni e riconosciute come fondate, bisogna svegliarsi e comprendere il perché e soprattutto il “per cosa” l’essere umano vi è giunto. Che senso ha tutto ciò? Perché è necessario che l’umanità passi per questo stadio?
Qui interviene la conoscenza (che è diversa dal sapere); comprendere da sé e non più da persone che si interpongono. Che sia tramite l’istruzione, la pedagogia, le religioni, siamo sempre stati “educati” da persone che sapevano e che ci hanno inculcato le loro credenze.
Se l’uomo, oggi, non si risveglia per pensare da sé l’evoluzione dell’umanità rallenterà e potrebbe anche fermarsi.
La medicina attuale è la conseguenza del fiasco dell’educazione, della pedagogia.
Non ci è più stato insegnato a funzionare da soli ma a ripetere come pappagalli il sapere di altri, a diventare totalmente dipendenti ed è questo stato interiore che ci rende malati perché la “mal-attia” ci svegli.
Il sintomo è lì per dirci quel che non abbiamo capito, che non abbiamo appreso.
Siamo malati per cercare di comprendere quel che non CI hanno insegnato.
Ma come la medicina ci mantiene nell’ignoranza, ovvero in una pedagogia errata. Si può scrivere:
la terapia medica è la logica conseguenza di una pedagogia errata.
La medicina odierna è il sintomo a livello fisico della pedagogia errata.
E siccome la medicina attuale non può che essere a somiglianza della sua pedagogia, è lì per rattoppare le crepe di una casa che crolla facendoci credere che sarà sufficiente a non farla crollare. Siamo intrappolati in un circolo vizioso che ci trascina sempre più nella patologia senza alcuna speranza di guarigione.
Ora l’umanità si trova di fronte a due mondi:
- quello degli uomini coscienti del senso della loro malattia e del fatto che la soluzione risiede all’interno di loro stessi;
- quello degli uomini incoscienti delle loro malattie e che pensano che la guarigione può provenire solamente dall’esterno.
Il dialogo tra i due non è possibile, perché le poste in gioco sono totalmente opposte. Da un lato si cerca di interessarsi all’Essere Umano nella sua globalità e dall’altro c’è l’interesse per il denaro dell’essere umano.
È quindi giunto il momento di aprire i nostri grandi occhi e di smettere di mandare giù tutto ciò che ci viene raccontato senza mai verificarne in prima persona la veridicità.
È a questo livello che si situa la vera libertà dell’Uomo; solamente allora potremo iniziare a parlare di vera uguaglianza e fratellanza e soprattutto di un’autentica democrazia.
* Nathalie Simon
Articolo pubblicato nel mensile “La vostra salute” N° 146 del Dicembre 2011
I poteri pubblici non smettono di ribadire che viviamo sempre più a lungo grazie ai progressi della medicina, che prima dell’era di Pasteur nessuno raggiungeva un’età avanzata, e tutto il mondo crede loro. Al punto che la Dr.ssa Claire-Anne Siegrist, che collabora con l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e che si è autoproclamata “miglior specialista al mondo di vaccini”, ha dichiarato al “Tribuna di Ginevra” (20 – 21 dicembre 2008) che le dedicava la prima pagina: «Lasciate fare la natura, è la selezione naturale: una speranza di vita di 35 anni e la metà dei bambini che muoiono prima dei 5 anni».
È sconvolgente vedere come un giornale così detto “serio” osi pubblicare tali fandonie, anche se sono state proclamate da una “autorità di referenza” che nessuno ha il coraggio di contraddire. Questo miglioramento della speranza di vita attraverso la medicina è una delle più grandi controversie del secolo e rivela una manipolazione dei numeri. È esatto che la mortalità infantile, in giovane età e di parto, è fortemente diminuita grazie al miglioramento delle condizioni igieniche, ma la mortalità prematura, ovvero quella che interviene prima dei 65 anni, è all’origine del 25% dei decessi annuali in Francia. D’altronde la percentuale è molto superiore a quello degli altri paesi della Comunità Europea, fatta eccezione del Portogallo. Secondo l’Inserm (l’istituto nazionale di salute e di ricerca medica francese) la mortalità dei francesi all’età di 25 anni è il doppio di quella degli svedesi o degli abitanti del Regno Unito. Inoltre i greci, dai 25 ai 65 anni, sono più in salute di noi, con delle spese sanitarie ben lontane dall’eguagliare le nostre.
Non solo non viviamo più a lungo che in passato, ma siamo sempre più malati e sempre più dipendenti dall’industria medico-farmaceutica. Un tempo, quando l’essere umano raggiungeva la vecchiaia, rimaneva nel possesso delle sue capacità, tanto fisiche quando mentali, e senza l’aiuto di droghe farmaceutiche!
Alcune popolazioni “non civilizzate” hanno speranze di vita molto superiori alle nostre, senza che vi sia assistenza terapeutica. Così gli Hounzas, che abitano sugli altopiani dell’Himalaya, al nord del Pakistan, vivono fino a circa cento venti anni, conservando la vista, l’udito e i loro denti, così come la loro capacità d’esercizio fisico. È evidente che hanno una vita molto frugale, ma l’igiene non è una priorità eppure sono molto resistenti alle malattie. Per quanto riguarda il cancro, è sconosciuto a questo popolo. È lo stesso per gli Indios che popolano la Vilcabamba, in Ecuador, nella cordigliera delle Ande, presso l’equatore. Nel 1994 secondo il suo certificato di battesimo, la signora più anziana aveva cento dieci anni, e, al cimitero, numerose tombe attestavano la longevità di questo popolo. Si rilevano le stesse prove di longevità presso gli Abcasi del Caucaso, gli abitanti dell’isola di Okinawa in Giappone e i Sikhs dell’India del Nord. Anche presso i Mormoni si trovano numerosi anziani in perfetto stato di salute ad un’età molto avanzata. Tutti questi popoli vivono in quei paesi in cui i farmaci chimici sono praticamente sconosciuti, in un ambiente sano e non inquinato dai nostri “indispensabili” prodotti chimici.
In “Nemesi medica” Ivan Illich osservava che fin dall’inizio del XVIII secolo il bambino francese aveva una speranza di vita superiore a quella dei genitori, e questa differenza si è accentuata tra il 1899 e il 1920: «Sarebbe un grave errore spiegare queste trasformazioni dei tassi di mortalità globali solamente con un progresso globale dell’efficacia dell’atto medico. La differenza tra la speranza di vita di generazioni successive appare sotto l’Ancien Régime senza che ci siano notoriamente tanti progressi terapeutici in questa epoca». Tutti i nostri chiacchieroni ignorano che basta consultare un dizionario biografico per constatare il numero di persone anziane e in salute eccellente di cui si è parlato nei secoli, ben prima dei “progressi” della medicina. E quelli citati rappresentano solo una minima parte della popolazione, quella divenuta celebre, gli altri non sono mai stati catalogati. Ma questo non impedisce che le autorità sanitarie dichiarino ad ogni piè spinto che la nostra “scienza” permette di vivere bene, più a lungo e in miglior stato di saluto dei nostri nonni.
È quindi molto interessante consultare un dizionario per trovare numerose persone che hanno raggiunto un’età molto avanzata, in ogni epoca ed in ogni paese, anche prima dell’epoca cristiana, anche se non abbiamo sempre la data esatta della loro nascita. Tuttavia dal XV secolo le date diventano molto affidabili perché ci sono dei registri ufficiali, e furono numerosi quelli che oltrepassarono i 90 e anche i 100 anni. Ne ho dunque citati alcune centinaia nel mio ultimo libro sulla salute, ma questa lista, lunga ma non esaustiva e verificabile, riguarda per lo più uomini di scienza, artisti o politici. A quell’epoca poche donne avevano vite pubbliche, e le loro attività erano più discrete. Tuttavia ce ne sono state sicuramente altrettante, poiché generalmente le donne vivono più a lungo, a partire da una certa età.
Bisogna trattenere il nome di Madeleine de Scudery, donna di lettere francese premiata dall’Accademia, che visse 94 anni, Elisabeth Chavigny, canadese che morì nel 1748 all’età di 99 anni e 1 mese e Alexandra David-Neel, morta nel 1969 a 101 anni. Nella sua opera “The death of Human Medicine” Petr Skrabanek cita il caso di una certa Pheasy Molly, morta a 96 anni per aver dato fuoco ai suoi vestiti accendendosi la pipa nel camino e quello di Jane Gorbritt che non aveva rinunciato alla sua pipa e morì nel suo 101esimo anno di vita, nel 1856.
Nel 1867 Mary Galligall morì all’età d 102 anni dopo aver bevuto il suo bicchiere di gin e fumato la sua pipa, così come faceva ogni giorno. Nel 1883 Mary Murray, appassionata di punch e di tabacco nero, morì a 110 anni, come segnala il “Medical Presse” del 3 gennaio, e nel 1894 il “Provincial Medical Journal” del 1° agosto segnala il decesso, a 106 anni, di una Gallese anche lei amatrice di pipa. Allora forse fumare la pipa è la garanzia di una lunga vita. Per quanto riguarda i centenari attuali, Jeanne Calment, morta a 122 anni, andava ancora in bicicletta a 100 anni e ha vissuto solo fino al suo 110imo compleanno. Attribuiva la sua longevità all’olio d’oliva che usava per nutrirsi e di cui si cospargeva la pelle, così come al bicchiere di porto e al chilo di cioccolato a settimana. Eugénie Blanchard, morta a 114 anni, non ha mai preso farmaci. Qualche tempo prima la morte di Florie Baldwin, deceduta nel maggio 2000 a 114 anni, sua figlia Maise, di 89 anni, dichiarava: «è davvero, davvero in forma. Non soffre di nulla e non prende mai medicine».
Il quotidiano online “Sabcnews.com” segnala che una sud africana, Moloko Temo, che ha appena festeggiato il suo 132esimo compleanno, sarebbe la persona più vecchia al mondo. Benché non sia ufficialmente riconosciuta, dei documenti d’identità ufficiali emessi nel 1988 dal governo locale confermerebbero la sua età. Questa anziana signora dovrebbe la sua straordinaria longevità alle sue numerose attività sportive.
E per dare un taglio, una volta per tutte, con queste finte affermazioni ripetute a memoria da pappagalli, uno studio dell’Inserm del 1992 realizzato in collaborazione con l’Alto Comitato di Salute Pubblica e pubblicato nel 1996, dimostra magistralmente che i tassi di decesso dei francesi nati dopo il 1938 sono sensibilmente superiori a quelli dei paesi vicini come la Svezia, ma anche il Regno Unito e l’Italia! Questi numeri posso sorprendere siccome per le persone nate prima del 1938, erano invertiti, la mortalità prematura era largamente inferiore in Francia che in questi altri paesi. Paradossalmente questo studio, pubblicato molto confidenzialmente su “Le Monde” non è stato commentato dai media, né dai poteri pubblici. Come potrebbero infatti questi ultimi spiegare questa inversione che smentisce le loro affermazioni perentorie?
Inoltre è evidente che le prossime generazioni, intossicate dall’inquinamento dell’ambiente, dagli alimenti pieni di prodotti chimici, dall’overdose di farmaci e vaccini, subiranno l’aumento delle malattie degenerative e autoimmuni e vedranno diminuire in maniera spettacolare questa speranza di vita di cui ci si rallegra, sfortunatamente a torto.
Dall’egoismo all’Amore
Una mia amica mi ha appena inviato una mail con un link di un video da ascoltare in cui una persona parla di amore e delle paure e tenta di spiegare come si può passare dall’uno all’altro. Un altro amico nello stesso momento mi scrive:
«Nel mentre le follie di inizio gennaio in Francia (e non solo in Francia!) ho pensato all’essere umano che si dovrebbe essere e non riesco a togliermi dalla testa una domanda: Perché Egoismo e vendetta (violenza) avanzano insieme? L’Amore si è davvero arreso così tanto?»
Mi sono espresso molto su questo argomento illimitato e più di una volta mi sono da esso sentito interpellato. Oggi è di nuovo successo, quindi mi prenderò un momento per scrivere.
Sempre più persone si pongono domande sulle ragioni che spingono gli esseri umani a far del male e sul perché la maggior parte dell’umanità si trova, spesso, confrontata alle sue paure che non riesce a superare. In quel video si tenta di dare soluzioni che in realtà non sono tali, per il semplice motivo che la stragrande maggioranza del mondo odierno non conosce realmente cosa rappresenta l’amore e nemmeno da dove vengono tutte queste paure e come superarle.
Penso che se non abbiamo conoscenza di chi è veramente l’uomo, non abbiamo nessuna possibilità di poter comprendere il soggetto fondamentale poiché l’Amore è al centro dell’evoluzione dell’uomo. È il suo motore di vita. E in primo luogo sarebbe opportuno definire l’Amore. Penso, anche qui, che per lo più l’umanità si inganna quando parla d’amore poiché in effetti lo conosciamo molto poco. Invece padroneggiamo molto bene il suo contrario: l’egoismo.
Quindi partiamo da questo egoismo che conosciamo perfettamente per sperare di accedere alla comprensione dell’Amore con la A maiuscola.
Per capire perché l’uomo sia arrivato fino a questo stadio bisogna andare a cercare la conoscenza dell’uomo poiché per il momento CI siamo accontentati di sapere chi fosse pensando di conoscerlo.
(si veda sapere e conoscenza).
In tutta la sua evoluzione l’uomo ha integrato cronologicamente il regno minerale, il regno vegetale e il regno animale per accedere alla sua condizione attuale di essere umano.
Il regno minerale ci ha dato la base della struttura minerale del corpo, il regno vegetale ci ha portato l’acqua e la vita, e il regno animale l’aria e gli istinti, pulsioni e desideri. Ricapitoliamo questa evoluzione a partire dalla procreazione e quello che parla di più agli occhi fisici di oggi è il riepilogo di tutto il regno animale, per il primo anno di vita, ovvero dalla nascita al camminare. La scienza chiama questo la filogenesi (evoluzione delle specie animali) che è da mettere in parallelo con l’ontogenesi (evoluzione dell’uomo).
Ma quando l’uomo inizia a camminare svilupperà la neocorteccia, la parte del cervello che solo lui possiede. Da questa evoluzione appariranno nell’uomo la parola e il pensiero e questo quarto regno, sulla scala dell’evoluzione, darà all’uomo il suo Sé, ovvero la capacità di essere un’individualità a pieno titolo.
Il ruolo dell’uomo attraverso il proprio sé terrestre – che si può chiamare ego – è di padroneggiare progressivamente i regni attraverso cui è passato nel corso della sua evoluzione. Non posso entrare nel dettaglio ma si è scoperto che l’uomo deve integrare e superare, prima di tutto, il regno animale.
Ma cos’è l’animale?
La funzione più elaborata dell’animale, l’abbiamo visto, è l’aver sviluppato gli istinti, le pulsioni rispetto al regno precedente, il regno vegetale. Tra questi istinti, l’uno dei più importanti è la paura. Sì! La paura proviene dal regno animale. E cosa fa l’animale quando ha paura? Fugge o morde. La paura è totalmente legata ad un’altra virtù animale: l’individualismo.
È una progressione per l’animale, nel senso dell’evoluzione e queste virtù sono per lui naturali; è il suo funzionamento fisiologico di base. L’animale non si preoccupa dell’altro, nemmeno dei suoi figli quando diventano grandi, giunge anche ad eliminarli se diventano ostacoli ai loro desideri.
La virtù suprema dell’animale è occuparsi di sé. E lo ripeto, poiché è importante, questo è del tutto normale per l’animale.
Quindi continuando la sua evoluzione l’uomo non ha solamente integrato in modo naturale questa qualità individualista, ma siccome possiede un ego ha acquisito in più la facoltà di pensare e con questa la facoltà di coscienza. E sempre per evoluzione ha portato in seguito questa virtù individualista fino al suo culmine: l’ego…ismo.
L’egoismo è la presa di coscienza più elevata mai raggiunta nella storia dell’evoluzione, della nostra propria individualità. Quando dico “IO”, parlo di me e nessun altro può dire “io” al posto mio. Ogni persona ha il potere di dire “io” unicamente per sé.
Dobbiamo comprendere che questo è un passaggio obbligatorio nell’evoluzione dell’uomo e che è NECESSARIO che l’uomo diventi un’individualità e per questo è dovuto passare per il culmine dell’individualismo… l’egoismo.
L’uomo è l’unico capace, con l’aiuto del suo ego che l’animale non possiede, di sviluppare l’egoismo, ma questo individualismo viene a noi direttamente dall’animale. E l’uomo deve, se vuole continuare ad avanzare nella loro evoluzione, integrare l’animale in lui per diventare essere umano a tutti gli effetti.
Per questo il cammino che deve compiere è superare ora il suo egoismo e sviluppare ciò che è puramente umano: l’amore.
L’amore è lo stadio dell’evoluzione riservata al regno umano e gli animali ci hanno aiutato a prepararvici passando prima di tutto attraverso l’egoismo necessario per diventare un’individualità poiché solo un’individualità può dare amore.
Solo un “IO” o Sé può amare altro se no rimane con il suo “io” o ego. A questo stadio possiamo fare la distinzione tra l’ego e il sé.
L’uomo che resta allo stadio dell’ego è un animale pensante,
l’uomo che sviluppa un Sé è un essere umano.
Ecco ho provato, il più brevemente possibile, a presentare il quadro generale. È evidente che ho tagliato alcune cose perché questo argomento meriterebbe un libro intero e anche di più. È importante capire come siamo arrivati a questo punto e soprattutto perché e per cosa. Qual è il senso di tutto questo?
«Perché l’Egoismo e la vendetta (violenza) vanno di pari passo? L’amore ha perso così tanto terreno?». La parola amore da sola non ha senso ai miei occhi; assume un significato quando accostato all’aggettivo Universale, ovvero amare nella stessa maniera il prossimo (e tutte le creature terresti) e i propri figli. Questo è il vero Amore con la A maiuscola che l’uomo deve sviluppare nel presente e nel futuro dell’evoluzione per evitare il rischio che questa si fermi.
Poiché l’Amore Universale non è una torta che si divide e che diminuisce fetta dopo fetta; è una virtù che si dà all’infinito, e non solo non diminuisce in quantità ma al contrario aumento in modo esponenziale se viene conservato.
Quindi in questo stato di coscienza non amo meno i miei figli ma alzo il mio livello d’amore per gli altri allo stesso livello di quello dei miei figli. Significa che dovremo fare un lavoro sui legami di sangue perché ci tengono nel nostro egoismo. Finché dureranno i legami di sangue alimenteremo il nostro egoismo. E questo ci frena… come è possibile amare gli “altri” tanto quanto i propri figli? E questo ci rinvia al nostro egoismo. Ma come? Se amo di più i miei figli sono nell’egoismo?
Bisogna quindi fare ancora una distinzione che non sarà facile da sentire per alcuni.
L’uomo è molto bravo ad illudersi sull’amore e per mascherarlo, per questo l’ho chiamato “egoismo nascosto”. Si è illuso a tal punto che parla di “fare l’amore” quando pratica un atto sessuale mentre, per lo più, sono due egoismi che si incontrano per giungere entrambi ai propri godimenti. Così spreca il termine amore.
Pertanto è possibile viverla diversamente, quando ogni individualità della coppia decide che l’unico obiettivo di questo atto è portare l’altro al suo godimento supremo… l’orgasmo. Quando questo si realizza si può notare che molto spesso i due vivranno l’orgasmo simultaneamente e che sarà molto più intenso di ogni orgasmo vissuto individualmente. In quel momento l’egoismo può essere sul cammino dell’amore e i corpi lo sanno e ci incoraggiano tramite questo orgasm…ismo.
L’atto sessuale dovrebbe essere un primo trampolino fisico sul cammino per accedere al vero amore che è, in questo caso preciso, la procreazione. Ma è davvero sempre così?
Quando diciamo di amare i nostri figli, siamo in realtà confrontati alle nostre paure che sono, l’abbiamo visto, conseguenze dell’egoismo. Siamo confrontati alla paura che si ammalino, che abbiano un incidente grave o peggio ancora che muoiano. Nel momento in cui una di queste cose succede, IO soffrirò. È della MIA sofferenza che parlo, quindi ancora di ME.
Si potrebbe ribattere: «ma si può benissimo dire che questa sofferenza è la conseguenza dell’amore che provo per mio figlio». Ecco, no, è qui che ci illudiamo.
La prova del vero amore è quando mi sento altrettanto toccato dalle disgrazie del mio vicino che da quelle di mio figlio, quando provo compassione per la miseria di chiunque perché la compassione è il sentimento radice dell’amore mentre la pietà è quello della paura e dell’egoismo perché ha sempre questo pensiero di fondo: «speriamo che non capiti a me o ai miei figli».
Finché non giungiamo a questo stadio universale di compassione, siamo nell’egoismo.
Dunque mi aspetto queste reazioni: «Ma è irrealizzabile; amerò sempre più i miei figli degli altri. Non siamo vicini al traguardo». Ma sì! Si può! Non è possibile realizzarlo domani ma ciò non vuol dire che non lo si potrà fare mai; è un cammino più o meno lungo che passa innanzitutto attraverso la comprensione di tutto ciò per accedere ad un altro livello di coscienza. A quello stadio l’impossibile diventa possibile.
Da quel momento abbiamo un gigantesco lavoro da fare, quello di smascherare questo egoismo ovunque sia e il compito non è semplice poiché è onnipresente e a volte si insinua in luoghi a cui è davvero difficile accedere. Ma ogni volta che riusciremo a vedere il nostro egoismo avremo la possibilità di trasformarlo istantaneamente in amore, perché l’amore è il contrario dell’egoismo e quando uno esiste l’altro sparisce. I due non possono coabitare contemporaneamente.
Non si tratta di teoria; lo so, poiché gli eventi della mia vita me l’hanno confermato nel quotidiano; ogn volta che sono colto nel fragrante della mia impazienza, ad esempio, so che domina il mio egoismo perché l’impazienza è una delle sue molteplici facce e, siccome sono molto attento a questo, cerco subito di rettificare.
È un lavoro da fare in ogni istante poiché l’egoismo non lascia un secondo di tregua. L’abbiamo talmente esplorato che non abbiamo ancora coscienza della sua presenza. Ricordate, è un residuo animale, è istintivo.
Ci obbliga a svegliare la nostra coscienza ogni secondo della nostra vita, quindi a svegliare la nostra facoltà di discernimento. Ci obbliga ad una presenza costante; sì a vivere il famoso momento presente, sostenuto da tutte le saggezze del mondo dalla notte dei tempi, come fosse il solo e l’unico, comportamento che permette di assicurare la salute e il benessere all’uomo… dunque questo egoismo è fisiologico ed è un passaggio necessario poiché è l’ingrediente che ci obbliga a vivere il presente.
E per i miei amici dentosofi, si osserverà nella bocca.
La prima tappa per vedere il nostro egoismo è lavorare sulle nostre paure* poiché egoismo e paura sono per me sinonimi. Sradicare le nostre paure ci permette di vedere la vita e il mondo in tutt’altro modo, di sviluppare i nostri grandi occhi, quelli che erano rimasti chiusi per paura.
Ho visto oltrepassare questa tappa, da numerosi anni, da persone che sono entrate nella pratica della dentosofia. Quindi so che è possibile, che è concreto e non un’illusione. Ne abbiamo gli strumenti, se lo vogliamo mettiamo in moto le nostre forze di volontà per riuscirci.
Sappiamo tutti, consciamente o inconsciamente, che l’Amore Universale è indispensabile alla vita dell’uomo. È il motore dell’umanità. Non possiamo più aspettare eternamente e osservare il malessere dell’umanità in modo passivo.
È impossibile. Il nostro futuro è nelle nostre mani e nessuno potrà realizzarlo al posto nostro.
È necessario per l’evoluzione che l’uomo diventi una personalità unica, libera, indipendente e spirituale dove l’Amore sarà onnipresente.
Passare dall’egoismo all’amore. È il compito grandioso dell’uomo sulla terra.
*libro 2: “Cosa dicono i nostri denti”
Sapere e conoscenza
- La conoscenza, etimologicamente, significa “nascere con”. È LA verità che esiste nel più profondo dell’essere umano ma la smarriamo alla nascita.
Il suo mezzo è il cervello del cuore.
- Il sapere è un’accumulazione delle “certezze” che CI hanno insegnato dalla nascita.
Il suo organo è il cervello della testa.
Q uando il sapere incontra la conoscenza si deve mettere al suo servizio e tutte le “verità” insegnate vengono rimesse in causa. Si comprende solo allora che l’insegnamento ben appreso ha portato a delle credenze che abbiamo adottato senza alcuna verifica. L’accesso alla conoscenza porta alla VERITÀ.
Si tocca così la pace interiore e di conseguenza la pace esteriore e, se la pace esteriore si manifesta, non può esistere la guerra poiché per fare la guerra è necessario essere minimo in due; se uno dei due protagonisti è in pace la guerra non può più esistere.
Q uando il sapere non incontra la conoscenza, si assiste ad un’opposizione dei saperi. La polemica regna e la guerra s’instaura.
Ma, come abbiamo visto, ci può essere una guerra all’esterno solamente se c’è una guerra all’interno dell’uomo poiché è proprio l’uomo che scatena una guerra; quindi se la guerra si instaura nel mondo è che esiste una guerra all’interno dell’uomo, guerra veicolata da “certezze” che ognuno crede giuste. Nessuno vuole lasciare il proprio sapere, simbolo di potenza, nel mondo di oggi, e dietro la potenza ritroviamo… il denaro.
Abbiamo qui una prova del nostro funzionamento patologico: se tutte queste “certezze” fossero realmente giuste, l’uomo sarebbe in pace e non ci sarebbero guerre né drammi umani.
Q uindi, se desideriamo sradicare tutti i conflitti mondiali, tutto l’odio diffuso, sarà necessario risolvere i nostri conflitti interiori e solo la conoscenza dell’Uomo ci dà accesso a questo cammino.
Siamo davanti ad una constatazione; se volgiamo modificare il corso degli eventi mondiali, bisogna mettere totalmente in discussione quello che ha condotto l’uomo a funzionare in questo modo oggi.
Se facciamo lo sforzo di questo cambiamento, comprendiamo quindi che eravamo sulla strada sbagliata.
Nel momento in cui scrivo queste righe un uomo ha appena assassinato sette persone a Toulouse, tre militari, tre bambini ed un adulto di origini ebraiche. Questo dramma ha risuonato non solo in tutta la Francia ma anche nel mondo intero… e il solo grido unanime pervenuto alle mie orecchie è di orrore, paura, odio e soprattutto… incomprensione. Tutta l’umanità si chiede, tra l’altro, come sia possibile uccidere tre bambini a sangue freddo. E la risposta è l’arresto del colpevole, imprigionarlo o ucciderlo e, siccome sempre più persone si comportano male, costruire sempre più prigioni.
Ma abbiamo forse dato risposta alla nostra incomprensione nel mettere le persone in prigione? È ovvio che no.
L’umanità non trova risposte e non potrà mai trovarne perché funziona tramite il suo sapere. Il suo sapere le dice quel che è stato insegnato, ovvero la responsabilità di tutto ciò che succede viene dall’esterno. Se l’uomo ha ucciso, è perché è stato indottrinato a faro, posseduto da forze del male e ci chiediamo come un uomo può giungere a tanto.
Ma soprattutto è lui, e lui solo, il colpevole di questa barbarie. L’umanità cerca sempre la colpa all’esterno (come il microbo, l’inquinamento, l’alimentazione sono per la medicina i responsabili di tutte le nostre malattie). Se l’umanità fa lo sforzo di abbandonare il sapere dogmatico potrà allora comprendere che siamo noi, tutte e tutti, i responsabili di queste ferocie. Prenderà forse allora coscienza che il male esiste anche in tutti noi e che il nostro compito sulla terra è far trionfare il bene.
Ma per questo bisogna avere la forza e l’accortezza di riconoscerle i nostri limiti del momento. Finché lasceremo il male esprimersi nella nostra vita tutti i giorni (e questo comincia con le piccole bugie – rendetevi conto, quelle bugie che sono il quotidiano dell’uomo di oggi –) non potremo essere sorpresi nel vedere alcuni esprimere solo in male e allo stesso tempo vedere alcuni esprimere solo il bene.
E l’umanità non capisce meglio la forza che permette all’uomo di perdonare “l’imperdonabile” di quanto capisca la forza che permette all’uomo di uccidere a sangue freddo. Eppure le vere domande arrivano e non possiamo nasconderle o ignorarle se vogliamo sradicare ogni delinquenza.
Perché abbiamo costruito un’umanità capace di produrre tali mostruosità?
Prima di “lapidare” un assassino, rimettiamoci in discussione riguardo i “nostri piccoli omicidi” quotidiani, ovvero tutte le cattive azioni tollerate da una società incapace di distinguere il bene dal male.
Quali sono le forze (del bene o del male) così potenti da permettere a questi uomini di realizzare l’inimmaginabile per la stragrande maggioranza della popolazione? Come spiegarlo con il nostro cervello?
Le risposte esistono se si fa lo sforzo di comprendere realmente perché l’uomo è giunto fino a questo punto e come può uscirne.
Ma per questo bisogna cambiare cervello.
In seguito a questa terribile barbarie, e generalmente dopo crimini che colpiscono i bambini – quali che siano le “ragioni” del crimine – nel mentre di una marcia silenziosa in memoria delle vittime, se cerchiamo di ascoltare le testimonianze delle persone presenti, sentiamo: «è normale che siamo qui perché partecipiamo al dolore della famiglia, sarebbe potuto succedere ai miei figli». Questo dicono le persone, il motivo profondo della loro manifestazione è dire: «fermate tutto ciò così che mio figlio non subisca lo stesso destino».
Si tratta dell’espressione più profonda del nostro egoismo e mi colloco anch’io nel mucchio. Queste persone non piangono le persone morte ma piangono all’idea che potrebbe capitare a qualcuno a loro caro. Non pensate che mi stia permettendo di dare lezioni poiché sono anch’io nella stessa setta, la setta dell’essere umano cieco. L’unica differenza con alcuni, forse, è che io cerco di uscirne per recuperare la vista da un occhio e affrontare le nostre disfunzioni e i nostri paradossi.
In queste marce si vedono cartelli con su scritto: “mai più questo”… sono secoli che li scriviamo… aspettando passivamente che rincominci. Per rispondere a questi “mai più questo” ci viene chiesto di fare il passo di andare a comprendere cosa spinge l’uomo a diffondere il male. E per andare al monte della realtà umana dobbiamo accedere alla sua vera conoscenza, non al sapere ben acquisito ma al funzionamento universale dell’Uomo.
Passa attraverso una totale messa in discussione, sì ho detto proprio totale, del funzionamento della nostra neocorteccia (la parte umana del cervello, quella che non abbiamo in comune con nessun regno della natura).
Ci verrà chiesto di prendere coscienza che la neocorteccia è uno strumento al sevizio dell’uomo e non una centrale operativa che controlla tutto.
Ci verrà chiesto rimettere al suo posto il cervello intellettuale che dovrebbe servire a ricordare le esperienza vissute nei momenti presenti. Il cervello è un organo del passato che serve a immagazzinare le esperienze vissute. Queste ultime possono essere quindi utilizzate in una nuova azione nel presente.
Esempio: devo piantare un chiodo nel presente. Le mie esperienze passate mi hanno insegnato che è utile avere un martello. Tiro fuori il martello dal cassetto del passato e pianto un chiodo nel presente. Rimetto il martello nel suo cassetto del cervello e passo ad altro senza troppo pensarci. Il cervello è al mio servizio e, in queste condizioni, in nessun caso dovrebbe essere causa dei miei pensieri, preoccupazioni, stress e angosce.
Mi è stato dato il privilegio di poter constatare le conseguenze esteriori dei conflitti che l’uomo affronta interiormente, attraverso la struttura della bocca, la posizione e la forma dei denti. Un reale linguaggio dei denti si è allora manifestato. Questo si è tradotto in un nuovo approccio della comprensione dell’uomo:
La dentosofia
Noi (tutti i professionisti e la professioniste che hanno adottato la dentosofia) abbiamo osservato e osserviamo in maniera sistematica le trasformazioni boccali in tutti gli esseri umani che incontriamo. Questa è una norma riproducibili al 100%; è quindi una LEGGE universale che non accetta nessuna eccezione, a differenza delle regole inventate dagli uomini.
Abbiamo creato un protocollo per permettere all’uomo di liberarsi progressivamente del suo disequilibrio per accedere ad un’autonomia funzionale. Questo si traduce, nella bocca, in uno “sblocco” visibile dall’esterno, sblocco corrispondente alla risoluzione di alcuni conflitti interiori.
Questo risultato è il frutto di un’auto-terapia, ovvero di una terapia dove l’unico capitano a bordo è il paziente stesso. L’Uomo ritorna quello che non avrebbe mai dovuto smettere di essere: il dottore di sé stesso.
Si mette allora in cammino sul proprio percorso personale, l’unica via che può condurlo ad una vera ed autentica Libertà… parola attualmente totalmente abusata.
La dentosofia ci ha permesso di comprendere l’incomprensibile per la scienza attuale. Quando la scienza non spiega più con il suo sapere, rifiuta il tutto senza cercare di capire le nuove “ipotesi” proposte.
Eppure ora la dentosofia non è più solo allo stadio delle ipotesi. Ci ha portato la libertà che ci era stata tolta dalle credenze che avevamo ben assimilato.
Ci permette di accedere ad una vera conoscenza dell’Uomo. La liberazione dai conflitti apre una porta d’acceso a questa conoscenza dimenticata alla nascita e rimettere il nostro sapere al suo posto.
Ci permette di sviluppare la nostra facoltà di discernimento necessaria all’accesso della coscienza morale, coscienza morale finalizzata alla LIBERTÀ di scelta lasciata all’uomo; la scelta tra il bene e il male.
Non possiamo più fare finta d’ignorare la differenza fondamentale tra sapere e conoscenza.
Il sapere è una goccia d’acqua nell’oceano della conoscenza.
Il sapere è acquisito e la conoscenza…innata.
Il sapere non sa niente e la conoscenza sa tutto.
Ci viene chiesto ora di andarle incontro per ritrovare questa conoscenza.
La nostra arroganza
Quando avremo coscienza della nostra arroganza? Siamo praticamente tutti persuasi di possedere la conoscenza più approfondita di tutta l’umanità a tal punto che siamo incapaci, per lo più, di mettere in discussione, anche solo per un istante, il sapere che ben abbiamo appreso.
È diventato necessario, e direi anche urgente, cominciare a dar confidenza alla nostra ignoranza in TUTTI i domini della vita, prendere coscienza che non sappiamo nulla quando si tratta di parlare dell’essenziale:
La vera conoscenza dell’Uomo
Questa conoscenza è rimasta al livello dell’inconscio al momento della nascita, e tutto ciò che abbiamo sviluppato in coscienza, dalla nascita, è un sapere “ingurgitato” come LA referenza. Bisogna essere coscienti di questo stato dei fatti: questo sapere ci è stato insegnato fin dalla giovane età come fosse la verità. Questo sapere diffuso dalla scienza non è mai stato messo in discussione essenzialmente per una ragione: la scienza conosce per definizione.
Gli scienziati hanno seguito studi che la maggior parte dell’umanità non conosce; quindi se la scienza afferma qualcosa non può che essere giusto per la popolazione. Per il momento, nello stato attuale del nostro livello di coscienza, tutto ciò che rileva del conscio riguarda la sfera del sapere e tutto ciò che rileva dell’inconscio riguarda la sfera della conoscenza.
Oggi ci viene chiesto di cominciare a rendere conscio ciò che rilevava, fino ad ora, dell’inconscio, ovvero di lavorare sulla reale conoscenza dell’Uomo, la parte sommersa dell’iceberg, quella non in vista.
Il problema maggiore è che questo non viene insegnato da nessuna parte.
È una totale rimessa in discussione, uno tsunami. Se facessimo questo passo allora comprenderemmo che non sappiamo davvero nulla, che l’apprendimento della parte visibile dell’uomo è ridicola rispetto alla parte nascosta. La parte nascosta dell’Uomo è tutta la sua storia, dall’origine delle origini, che ricapitoliamo in particolare nei nove mesi di gestazione. Toccheremo le domande esistenziali rimaste senza risposta causa l’arroganza della scienza detta moderna.
Accetteremo quindi di lavorare su questa famosa umiltà che apprezziamo tanto negli altri (infatti nessuno ama le persone pretenziose) e misurare la nostra arroganza scientifica che non accetta alcuna ipotesi in contrasto con le sue “certezze”.
Accettare di non conoscere nulla, accettare di non pensare di sapere tutto è il principio della nostra grandezza. Avere l’umiltà di sorriderne e di dirlo e un grande passo compiuto contro la nostra presunzione. Questa attitudine è l’unica che permette di darci i mezzi per accedere finalmente alla vera conoscenza dell’Uomo, del nostro vivere ovvero in coscienza.
Far passare la conoscenza, lasciata alla nascita, dal dominio dell’inconscio al dominio della coscienza, ecco il compito affidato all’uomo di oggi, se no avrà vissuto in vano.
Per questo sarà necessario sviluppare una grande virtù, rimasta troppo a lungo in letargo: la facoltà di discernimento.
La facoltà di discernimento
Per tentare di comprendere questa virtù farò un esempio: il colpo di fulmine.
Il colpo di fulmine è una vera e propria “bomba” emozionale che ci sommerge. Non esiste più nulla se non la persona di cui ci siamo innamorati. Il termine innamorarsi non comporta alcun intervento del cervello della testa. È il cervello del cuore* che agisce per primo e successivamente riscalda il cervello della testa perché questo possa poi esprimere parole come: “è proprio bella; come è possibile che una creatura così meravigliosa sia reale…”. Poi si metteranno in moto le nostre forze di volontà, che contribuiranno a riscaldare il cervello della testa, per mettere in atto questo amore nascente.
Il colpo di fulmine è portato dal sentimento supremo: l’amore. Questo amore, che si situa al livello del polo del sentimento, riscalderà il pensiero che pronuncerà le giuste parole, supportate dalle nostre forze di volontà. Questi propositi sono spontanei; non esiste alcun giudizio; riflettono esattamente quel che il cuore ha espresso tramite uno sconvolgimento interiore.
Il colpo di fulmine fa parte delle intuizioni innate che appaiono nel corso della vita; solamente il colpo di fulmine è parte di queste intuizioni gigantesche che non è possibile non notare; è come se CI venisse data la possibilità di vivere qualcosa di talmente monumentale da non poter dire: «non esiste».
È un dono offertoci dal mondo spirituale; non si può spiegare con lo spirito razionale ma non si può negare la sua esistenza.
Ma queste intuizioni geniali, che arrivano come doni, sono per lo più annientati dalla freddezza del cervello della testa; anche il colpo di fulmine a volte non vi sfugge. Invece di dirci che la ragazza in questione è bella è possibile che ci si dica: “sono brutto, ho i brufoli, sono troppo stupido, troppo piccolo o troppo magro; non vorrà saperne mai nulla di me…”. In questo caso il cervello “alto”, quindi il pensiero, avrà anestetizzato il cervello del cuore, quindi il sentimento supremo, e non oseremo mettere in moto la nostra forza di volontà per paura di vivere la vergogna del rifiuto.
Questo è il modo di funzionamento quotidiano che CI è stato insegnato.
Non solo il pensiero riscaldato dal sentimento e la volontà che agiscono, ma i pensieri freddi della testa che sono dominio del passato, della memoria che abbiamo immagazzinato nel corso del nostro apprendimento. È il frutto di tutto il sapere ben appreso e ripetuto a memoria come fanno i pappagalli.
I ragionamenti come “sono brutto, ho i brufoli, sono troppo stupido, troppo piccolo o troppo magro; non vorrà saperne mai nulla di me…” sono frutto di tutte le nostre paure immagazzinate nel corso della nostra educazione, paure che ci porteremo dietro tutta la vita se non ne avremo coscienza*.
Sì, l’uomo oggi si colloca allo stadio dell’anima di coscienza e gli viene chiesto di oltrepassare il modo di funzionare arcaico per accedere alla vera facoltà di discernimento. Questa virtù può essere alimentata solamente dal cervello del cuore, dal sentimento supremo: l’Amore con la A maiuscola, l’Amore universale, quello che ci fa amare tanto il figlio del vicino quanto il proprio.
Questo Amore parte dal polo del sentimento e riscalda tutto ciò con cui viene a contatto. Così il pensiero e la volontà saranno giusti e la triarticolazione sarà allora fisiologica*.
Non siamo più allo stadio del sapere ben appreso ma della conoscenza innata.
La triarticolazione è portata dalla conoscenza, dimenticata alla nascita, per lasciare il sapere, giusto, fare il suo lavoro, ovvero riportare alla nostra coscienza tramite la logica questa conoscenza, divenuta inconscia con lo sviluppo dell’evoluzione. Nella conoscenza si trova la parte spirituale dell’uomo. All’epoca attuale questa spiritualità è più lontana che mai nella storia dell’uomo dalla nostra coscienza*.
Ecco perché il materialismo domina ancora il mondo. L’umanità si trova davanti a questa svolta. Ha la libertà di scelta di rimanere una pecora obbediente o diventare un essere spirituale libero e quindi indipendente. Da questa scelta dipende il futuro dell’uomo.
Il processo del colpo di fulmine è una prova inconfutabile della cronologia del cervello del cuore che entra in azione prima del cervello della testa. Quest’ultimo è ai suoi ordini; è uno strumento utilizzato dal sentimento. Il cervello è un organo dei sensi – come l’occhio o l’orecchio – che capta le informazioni del mondo spirituale ed è il nostro IO ad utilizzarle e ne fa un buono o cattivo uso a seconda del cammino che avrà percorso.
Tutta la nostra vita saremo confrontati a dei “lavori pratici”, sotto forma di intuizioni giuste che o ascolteremo o non ascolteremo.
È l’apprendimento del discernimento.
*libro 2: “Cosa dicono i nostri denti”
Siamo giunti ad una svolta per l’umanità
Viviamo un periodo straordinario se facciamo il passo di una vera presa di coscienza. Ho avuto il grande privilegio di aver fatto la formazione da dentista in Francia. Perché è un grande privilegio?
Perché nella bocca tutte le malattie o deformazioni si vedono; non è necessario fare analisi o indagini interne (radiografie, scanner, risonanze magnetiche, biopsie…) per fare una diagnosi. La formazione ci insegna COME possiamo fare per minimizzare queste deformazioni e ci dà spiegazioni sul SUO perché. Le cause verrebbero dalle nostre funzioni neuro-vegetative disturbate (respirazione, suzione, deglutizione, masticazione, fonazione). E la semplice osservazione clinica ci dimostra che questa visione delle cose è troppo riduttiva quindi erronea e ci conduce su una falsa pista.
Oggi la scienza non spiega l’esistenza di queste deformazioni ma non può negarla. Cerca di trattare il COME ma non ha nessuna idea del PERCHÈ esistono queste deformazioni e soprattutto del PER COSA; qual è il senso di tutte queste patologie? Cosa ci vogliono dire?
La medicina in Francia è arrivata al punto di escludere il dentista dagli studi medici; è come se la bocca e i denti non facessero parte del corpo umano. Questo ci porta all’osservazione successiva; i dottori sono incompetenti su quello che succede a livello dei denti e i dentisti sono ignoranti sul resto del corpo umano. In queste condizioni il dialogo e gli scambi sono difficili; è quello che succede in Francia.
Nel momento in cui vi parlo, la scienza medica non dà nessuna risposta coerente alle malformazioni boccali ma sarà ben necessario collegare questa bocca al corpo intero e comprendere finalmente che l’uomo è un tutto inscindibile e non un “pezzo di carne” tagliato a pezzi per il cardiologo, lo pneumologo, il neurologo ecc…
La nostra esperienza clinica (la mia e quella di tutti i professionisti e le professioniste che hanno voluto davvero fare il passo di andare a capire) ci ha permesso di constatare che questa falsa pista non si situa solo nel mondo dei denti ma poteva essere generalizzato alla medicina tutta intera.
Prove inconfutabili si sono accumulate da più di 30 anni sul senso delle deformazioni boccali, prove che la scienza contemporanea non vuole vedere… ma tuttavia non può ignorarle poiché esistono e si vedono con i nostri occhi. Non può nemmeno più ribattere, come con Ryke Geerd Hamer, che sono degli errori di lettura degli scanner.
Come ho appena detto, la “fortuna” di guardare nelle bocche mi ha permesso di aprire un po’ gli occhi e osservare delle “guarigioni miracolose” compiersi, senza alcuna possibilità di spiegazione con il mio spirito cartesiano dell’epoca. Ci sono quindi due opzioni:
- fare lo struzzo e nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere nulla;
- cominciare a fare le domande che disturbano.
La seconda opzione obbliga a rimetterci in discussione e ci accorgiamo allora che il sapere ben appreso nel corso della nostra educazione non ci appartiene; ci è stato insegnato e noi l’abbiamo adottato senza alcuna verifica. È in seguito passato allo stadio delle credenze. Ed è molto complicato mettere in dubbio queste credenze perché, a questo punto, sono diventate le NOSTRE credenze e alle nostre credenze per definizione: ci crediamo.
C’è stato bisogno di queste prove cliniche inspiegabili, prove che mi hanno forzato a cercare da me e non attraverso persone interposte il PERCHÈ di questi risultati stupefacenti e di accedere ad una reale conoscenza dell’uomo, conoscenza che bisogna differenziare dal sapere.
Le malattie (o deformazioni) della bocca come quelle del corpo intero ci parlano. Cosa ci devono dire? Dalla loro comprensione possiamo accedere alla conoscenza di ciò che siamo realmente. «Oh Uomo, conosci te stesso» (γνῶθι σαυτόν: iscrizione sul frontone del tempio di Apollo a Delfi).
La diffusione della dentosofia non potrà realizzarsi con l’aiuto di un cervello strutturato e formattato per insegnare l’intelletto agli intellettuali. La dentosofia non si insegna, si vive. Quando “l’insegnante” in dentosofia ha recepito questo, diventa allora “contagioso” e dà ad altri la voglia di fare la stessa cosa. Tocca allora il bambino interiore, quello che tende ad un solo obiettivo: imitare le azioni altrui. Questo non è né sarà mai un processo che passa attraverso la mente; tutto si gioca nuovamente sui sentimenti, ovvero il cervello del cuore; essendo quest’ultimo il solo e unico maestro dell’uomo.
Tutte le domande e risposte giuste passano da lui ed è solamente in un secondo tempo che l’analisi con del cervello della testa può prendere forma. Questo pensiero è riscaldato dalla giustezza del sentimento e il Pensare può mettersi in azione perché non è immobilizzato dai pensieri veicolati dal nostro insegnamento, frutto del nostro sapere. Le azioni, messe in esecuzioni, saranno all’unisono con i sentimenti; saranno giusti e rafforzeranno il riscaldamento del Pensare.
Quindi il pensare potrà essere fondamentalmente giusto perché non sarà inquinato da pensieri del passato.
Coscienza e inconscio
Come definire la coscienza? È una presa di coscienza intellettuale in cui l’unico ad intervenire è il cervello? O viene da molto più lontano?
Nel linguaggio corrente l’espressione “ho preso coscienza” è accompagnata da un gesto dell’indice che si dirige verso la fronte per sottolineare il fatto che la coscienza si situa a livello dell’emisfero cerebrale destro e sinistro.
La maggior parte dell’umanità pensa che la coscienza sia legata al cervello, anche se nessuno sa dove si trova e soprattutto tramite quale meccanismo agisce. La presa di coscienza è assimilata ad un’interrogazione del mio pensiero che immagazzinerà la nuova informazione nella memoria (o hard disk).
Ora cerchiamo di vedere altrimenti questa coscienza. Per questo sarà necessario dare definizioni più esatte e specifiche a delle parole che usiamo quando invece non hanno nessuna consistenza; infatti qual è la differenza, nel linguaggio corrente, tra inconscio e subconscio?
Il subconscio è qualcosa che abbiamo riposto nella nostra memoria e che tiriamo fuori in modo automatico senza ricorrere alla coscienza; potremmo compararlo ai riflessi condizionati che Pavlov ha evidenziato negli animali. Questo subconscio è il risultato della nostra educazione, di tutta la formattazione intellettuale frutto di tutti gli stimoli esterni forniti dalla società.
Nessuno vi scappa poiché è il funzionamento fisiologico dell’uomo; a differenza dell’animale, l’uomo deve apprendere tutto, questo fino ai 28 anni. Lo farà in modo totalmente inconscio finché la coscienza di sé, ovvero la propria individualità (ciò che fa sì che sia unico al mondo) inizia ad agire.
Possiamo dire che per i primi 7 anni della sua vita il bambino si costruisce in maniera incosciente; questi anni sono fondamentali per i pedagoghi di ogni tipo (genitori, scuola, società) perché è dalle loro capacità che dipende l’equilibrio futuro del bambino; dal canto suo il bambino riceverà informazioni che immagazzinerà nella sua memoria e, a poco a poco, svilupperà una forma di coscienza, forma che sarà sempre dipendente dalla pedagogia ricevuta e che riceverà. È solo dai 21 anni che l’uomo comincia a sviluppare realmente la propria coscienza di sé, benché questa, ovviamente, esistesse già dentro di lui; concluderà questo processo a 28 anni.
Per rendere l’intervento più concreto faremo uso di un’immagine. Consideriamo un elefante e immaginiamo che rappresenti il nostro subconscio poi prendiamo un colibrì che corrisponde alla nostra parte cosciente.
A 28 anni l’essere umano si trova quindi a confrontarsi con il suo gigantesco elefante (98-99%) e il suo colibrì appena nato (1-2%). Questo piccolo colibrì di qualche grammo ha il compito di sollevare la pesante proboscide dell’elefante e di portare il pachiderma là dove l’uccellino desidera. Significa che all’uomo sarà chiesto, per il resto della sua vita, di travasare tutta la sua parte inconscia del subconscio nella parte della sua coscienza, ovvero di diventare cosciente del TUTTO. Ma per questo bisogna riconsiderare la coscienza così come viene insegnata nell’elefante.
Perché allora differenziamo subconscio e inconscio se abbiamo intellettualmente coscienza che il subconscio viene alimentato inconsciamente? Questa differenziazione può avere senso se consideriamo che possiamo prendere coscienza del nostro subconscio e quindi renderlo cosciente mentre l’inconscio per definizione rimane incosciente.
Esempio: mentre dormiamo (anche alla morte) passiamo totalmente nell’inconscio e e non abbiamo più alcuna idea di quello che succede nel nostro corpo.
Questo è il meccanismo attuale dell’uomo ma non quello in divenire. Come si può comprendere intellettualmente, ovvero con il nostro cervello, che la coscienza non si situa a livello intellettuale? Come possiamo dunque farne esperienza nel quotidiano?
La risposta a queste domande è immaginabile solo se accediamo alla conoscenza dell’uomo e alla sua nozione della triarticolazione.