RIVISTA NEXUS ITALIA 9/01/2014

  1. Le osservazioni

Da poco laureato nella facoltà dentistica di Lione, inizio ed esercitare la professione. Mi ritrovo per la prima volta solo di fronte alla caria, tra le altre cose. Ho cambiato status e non ho più diritto di sbagliarmi; sono passato dal ruolo di studente a quello di professionista.

Sono felice di essere finalmente diventato un uomo libero e indipendente perché è quello che credo fortemente in quel momento lì.

Da quel momento consacrerò la maggior parte del mio tempo di vita – e preciso bene “tempo di vita” – a pulire delle carie, ovvero risanare dei buchi e a riempirli. Poi vedo tornare gli stessi pazienti (e questa si chiama poi una clientela), che soffrivano di carie sugli stessi denti (e a volte su altri). Non rifletto un solo istante e curo di nuovo quel dente allargando ancor di più il buco precedete e poi ritappandolo; questo finché quel dente, ben troppo cariato, sia devitalizzato (si toglie il famoso nervo che provoca dolori a volte lancinanti) in seguito all’ennesima caria. Una volta devitalizzato il dente, il mondo dentistico si è accorto che diventava più fragile degli altri denti e a deciso di “coronarlo” con l’avallo della previdenza sociale e del suo rimborso provvidenziale.

Solo che, scopro nel corso del mio esercizio in quando libero professionista, questi denti devitalizzati, coronati o non, hanno la tendenza ad infettarsi molto più dei denti vivi. In più questi denti hanno anche una irritante tendenza a rompersi. Quale che ne sia la sorte, infetti o rotti, alla fine vengono praticamente tutti estratti (quando si parla il linguaggio dentistico) o strappati (se il usa il linguaggio “dei pazienti”). Una volta eliminati, è nostro dovere sostituirli, sia con protesi fisse (ponti) sia con protesi mobili (le famose dentiere) e poi, più recentemente, con degli impianti; e per alcune persone, assidue frequentatrici degli studi dentistici, tutto ciò va a finire con una protesi completa per sostituire tutti i denti tranne quelli del giudizio che non sostituiamo mai.

Queste righe riassumono la mia vita professionale di un chirurgo-dentista che, per quel che mi riguarda, mi monopolizzava da 9 a 10 ore al giorno per 6 giorni su 7, al principio della mia attività. Se faccio i conti, constato che tra queste 9-10 ore di lavoro si trova una pausa dalle 12 alle 14, destinata unicamente a mangiare e a fare una siesta, e che mi permetteva semplicemente di respirare un attimo prima di rincominciare a lavorare. Se a questo aggiungiamo le 8 ore di sonno indispensabili al mio equilibrio, più il tempo di alzarsi, il tragitto e la cena, arriviamo ad un totale di 21-22 ore di attività al giorno. Mi rimanevano quindi 2-3 ore la sera per rilassarmi. Non avevo tempo o occasione per un qualche pensiero,   una qualche riflessione o apertura culturale. Rimaneva la domenica, in cui facevo sport, che era una passione. In queste condizioni mi era impossibile pensare eventualmente ad un altro modo di funzionamento, poiché era il funzionamento normale di un dentista nel 1979, in ogni caso era ciò che mi veniva detto.

Ma nel momento in cui scrivo queste righe, non posso impedirmi di pensare che fosse – ed è ancora oggi – più o meno lo schema di vita della stragrande maggioranza dell’umanità con forse qualche sfumatura differente tra i diversi continenti.

Mentre scrivo tutto questo mi ripiombo così tanto nel contesto dell’epoca che mi dimentico quasi di dirvi che ero sposato con una donna straordinaria ed era appena nato nostro figlio. Questa dimenticanza dimostra, se ci fosse il bisogno di prove, che all’epoca il sistema di funzionamento “referente” faceva astrazione dell’ambiente famigliare, il quale doveva necessariamente adattarsi perché era inconcepibile fare altrimenti. Ero quello che portava i soldi a casa; quest’uomo è intoccabile e detiene tutto il potere (e anche tutte le scuse) poiché rispetta alla lettera le norme della società: guadagnava il denaro. la

Molto rapidamente l’euforia delle mia nuova “libertà ed indipendenza” sparirà per far spazio ad un malessere che, nel corso del tempo, diventerà sempre più crescente e sempre più invalidante, malessere che sarà concomitante a quelli di mio figlio e della mia sposa, e ognuno lo esprimeva a modo suo*. Questo malessere si somatizzerà e mi provocherà violenti dolori alla schiena e al ventre, dolori che mi porteranno la medicina ad evocare la spondilite anchilosante. Ma quello che qualifico oggi come “mal essere” era, all’epoca (ed è tutt’oggi) considerato come uno stato normale. Era parte della vita dell’uomo, del funzionare in quel modo e, dall’esterno, nessuno lo aveva notato.

Solo un passo indietro, adesso nel presente, può permettermi di vedere la potenza sviluppata dall’uomo per accettare quel che è, e quale cecità mette in atto per non vedere. Infatti come è possibile che alcune persone trascorrano una vita intera in questo modo?

Perché un essere umano è diventato un dentista. Il mio stato d’essere umano si è cancellato a vantaggio del mio status di dentista; non sono più Michel Montaud, l’essere umano; sono diventato Michel Montaud, chirurgo e dentista o meglio ancora Dottore in Chirurgia Dentale.

La nostra società ha creato una gerarchia basata sulla professione esercitata. Quando ci si presenta, esistiamo sempre più in quanto idraulico, panettiere, medico ecc. ma sempre meno in quanto uomo. Esisto quindi in quanto dentista e, in tal senso, la vita che conduciamo è del tutto normale, e il malessere mio e della mia famiglia non ha nessun legame con la mia vita professionale perché questa è considerata come tabù ed è intoccabile.

Con questi propositi parlo della nostra società che ha instaurato tutto questo sistema. Questa frase è ricorrente: «Non sono io che decido, è la società». Si sente ovunque come un alibi per scagionarsi per il non fare da sé. Ma dove siamo collocati, noi uomini, nella società? Chi ha creato questa società, che fustighiamo regolarmente ammettendo la nostra impotenza se non noi, gli uomini? Quindi questa frase – “la nostra società ha creato una gerarchia basata sulla professione” – deve essere modificata in: “noi tutti, gli uomini che vivono sulla Terra, abbiamo instaurato una gerarchia basata sulla professione, il denaro e il potere”. Solo questi criteri sono presi in considerazione. È facile mostrare a che punto sono profondamente ancorati in noi.

Adesso nel mio studio, al primo consulto, ho una domanda che qualificherei “trabocchetto”. Chiedo ai genitori, spesso alla mamma – perché vedi più spesso le madri che i padri per i motivi appena evocati – di dirmi come “va” il loro figlio a scuola. Vedo allora, in alcune di loro, i loro occhi illuminarsi con orgoglio, per rispondermi che il loro figlio è brillante in classe. Questi genitori venuti al consulto hanno tutti letto il mio primo libro (è una condizione indispensabile al primo incontro) e vengono coscienti di un dato mio approccio; non sono in un territorio loro sconosciuto perché si sono accorti, grazie a questo libro, della sofferenza nel loro figlio. Ma quando evochiamo i risultati scolastici è come se non esistesse più nulla, come se avessero dimenticato il malessere “eventuale” del loro bambino, quello che hanno letto nel libro quando parlo di iper intellettualizzazione precoce, ad esempio.

Siamo indottrinati a tal punto che il discorso sulla scuola, i compiti, il successo scolastico, sinonimi di diploma, successo professionale, quindi denaro e perché no potere, riprende tutto il suo posto. L’eventualità di un’altra concezione non è più ascoltata o è mal percepita, e il cerchio si chiude. Siamo intrappolati dal “successo professionale” che sta uccidendo l’essere umano e questi fin dalla giovane età.

Non possiamo più continuare, noi adulti, ad approvare la distruzione dei nostri bambini, così come abbiamo permesso la nostra. E faccio attenzione alle parole che uso quando parlo di distruzione, perché è proprio così, e si legge in tutte le bocche di questi piccoli esseri intravisti nei nostri studi. Tutte queste bocche “storte” mostrano una sofferenza psico-affettiva.

 

Per non trascorrere un’intera vita così, bisogna progressivamente – perché non si fa sempre dall’oggi al domani – decidere di separarsi dal proprio status di professionista e di far rinascere l’essere umano. In quel momento l’uomo rincomincia a vedere e a servirsi di tutti gli organi di senso, fin ad allora anestetizzati. Si dà del tempo, ingrediente indispensabile, ad una delle facoltà capitali dell’uomo: il discernimento.

È questo inizio di discernimento che mi ha fatto porre alcune domande. Non sono più realizzato, mentre sulla carta ho tutto quello che serve per essere felici, e subisco il mio lavoro, che esiste unicamente per farmi vivere. Ma questo schema è la normalità?                                                                                                                              È forse normale essere più spesso nell’assoggettamento, nel compromesso, più spesso nel malessere che nel benessere?                                                                                                                                                                                       È forse normale che un dentista passi la sua vita UMANA a “curare” per giungere inesorabilmente alla perdita dei denti? Non è forse sulla strada sbagliata?                                                                                                       Perché se fosse sulla giusta via, questi atti non dovrebbero impedire questa perdita inesorabile?                       Alcuni possono rispondermi: il dentista rallenta un fenomeno che è universale.                                                                Ma allora, se fosse realmente così, perché alcune persone muoiono con tutti i loro denti? Perché esistono bocche indenni da carie? Mi si ribatterà nuovamente che queste persone sono delle eccezioni. Ma se sono eccezioni allora non siamo di fronte ad una legge universale ma ad una vera e propria “legge” inventata dall’uomo. Le chiameremo “regole” per non confonderle con le “leggi” che sono realmente universali e non concedono nessuna eccezione.

E se ampliassimo questa perdita dei denti ad altre perdite di organi, possiamo chiederci: è forse normale che l’essere umano cadi a pezzi? E se la chirurgia fosse un’osservazione del fallimento della medicina (non parlo degli indicenti)? Questa chirurgia non sarebbe che la conseguenza urgente di una medicina che non guarisce. Quando osserviamo i progressi della chirurgia, in un secolo, abbiamo il diritto, visto da questo punto di vista, di porci domande riguardo l’efficacia della nostra medicina moderna. E perché in una stessa bocca alcuni denti sono colpiti e altri no? E perché? E perché? E perché?

Quando la facoltà di discernimento si attiva, le domande affluiscono da ogni parte. È come se ci si fosse liberati da una maschera che ci impediva di vedere. Si passa dallo status di cieco allo status di orbo da un occhio. Il futuro mi insegnerà che un vero ricercatore (colui che trova) ha sempre delle domande fino alla fine della sua vita; il giorno in cui ha solo risposte non può più cercare.

Possiamo chiederci: come è possibile che un dentista possa consacrare l’essenziale della sua vita terrestre a chiudere dei buchi e a “ri-intonacare” instancabilmente le fessure per giungere nonostante tutto alla demolizione, senza prendere un giorno coscienza dell’inutilità del suo lavoro, né del malessere in cui si trova? Cosa ci spinge a rimanere in questa condizione di cecità? Quali sono queste forze, così potenti, che ci impediscono di vedere? Una delle più importanti è il materialismo (il denaro).

 

  1. Dalla caria allo psico-affettivo

Il mio malessere personale e quello della mia famiglia andava ingrandendosi, non mi era più possibile vivere quella vita là. Succederanno degli avvenimenti nella mia esistenza per permettermi di cominciare a aprire un po’ i miei occhi*. Delle domande arriveranno e dei risultati clinici concreti, necessari al “cartesiano” che ero, affluiranno da ogni dove. Passerò dall’osservazione delle carie in una bocca alla visione delle deformazioni di quelle stesse bocche per accorgermi che nessuna era in equilibrio, che tutte le bocche di tutti gli esseri umani erano “storte”. Utilizzerò delle “tecniche” non riconosciute dalla professione e vedrò apparire risultati sfidanti ogni immaginazione. Non solo queste bocche si armonizzeranno ma osserverò dei miglioramenti in altri punti del corpo fisico. Spariranno patologie di ordine strutturale (dolori alla schiena, problemi articolari, cambiamenti di postura) nel corso dell’armonizzazione della bocca.

In funzione della mia curiosità mi accorgerò frugando sempre di più della sparizione di sintomi e di ogni tipo di malattia, sempre in correlazione con l’impegno personale del paziente nella propria terapia.

Di osservazione in osservazione, collegherò sistematicamente l’armonizzazione della bocca di questi pazienti, il miglioramento del loro stato di salute e il loro “meglio-essere” psico-affettivo. Tutte queste persone portano le stesse testimonianze su un altro modo di affrontare la vita, su un vero slancio di vita; avevano ritrovato la voglia di VIVERE.

Tutto accade naturalmente, senza che io dica niente a proposito di un possibile successivo percorso di “risveglio”. Queste persone si contentano semplicemente, in un primo momento, di mordicchiare un apparecchio di gomma. La base della dentosofia riposa sul porto di un attivatore di gomma, che sarà portato qualche minuto nella giornata e con cui dormiremo. In seguito a questo lavoro noi (tutti i dentosofi che si sono impegnati in questo protocollo) assisteremo ad un equilibrarsi delle bocche inspiegabile con le informazioni fornite dalla scienza attuale.

Queste osservazioni cliniche, che non sono partite da ipotesi poiché all’epoca non avevo alcuna idea di ciò che sarebbe successo, mi hanno portato a formulare questo doppio postulato:

  • La parte psico-affettiva di una persona si imprime interamente nella sua bocca.
  • Ogni trasformazione della regione boccale ha un’incidenza sullo psico-affettivo della persona.

(Se si vuole opporsi a questo postulato bisogna darne una prova. Al giorno d’oggi nessuno è stato in grado di farlo.)

Abbiamo potuto stabilire un vero linguaggio della bocca, un linguaggio universale che permette di vedere ciò che non si è mai visto e di poter sentire ciò che non si è mai sentito; il non verbale, quello che il paziente non ha mai osato dire è scritto nella sua bocca come in qualsiasi altra parte del corpo, ma è più facile vedere una bocca che un fegato ad esempio.

Questo universalismo ci porta la prova della relazione sistematica tra il corpo fisico – all’occorrenza la bocca per quel che ci riguarda – e il temperamento dell’uomo.

 

La mia professione aveva appena assunto tutto un altro significato così come la mia salute. Passavo dal malessere e dalla sofferenza interiore ad uno stato di benessere. Tutte le mie patologie spariranno improvvisamente. Passavo da un mestiere insipido, attraverso cui guadagnavo il denaro per vivere, ad un Compito appassionante e eccitante fatto di meraviglie quotidiane, che mi procurava un entusiasmo senza limiti, entusiasmo che non mi ha mai più lasciato e che è qualcosa di essenziale e di fondamentale per la vita degli uomini.

Questo nuovo stato d’animo era onnipresente nel mio studio e anche nella mia vita. Non c’era più nessuna separazione tra il Michel dentista e il Michel essere umano; i due si comportavano allo stesso modo; non dovevo più recitare una parte ogni istante della mia vita.

Bisogna dire che questo nuovo modo di agire mi permetteva di vivere serenamente, anche sul piano finanziario; cosa che un giorno mi ha portato al seguente pensiero: non si lavora per guadagnare del denaro, ma ci si realizza nel proprio lavoro (e nella propria vita) in modo da ricevere il denaro necessario per vivere.

Il denaro non è più il solo obiettivo da raggiungere e il solo motivo per cui lavoro, ma diventa una conseguenza. Prende il posto che non avrebbe mai dovuto lasciare, ovvero essere al servizio dell’uomo e non l’inverso. Nel mentre della scrittura del mio primo libro* mi sono volontariamente fermato allo stadio dello psico-affettivo, ma ora non basta più. Dobbiamo risvegliare altro. Nel momento in cui vi parlo non esiste alcuna risposta scientifica che spieghi i risultati spettacolari raggiunti dai pazienti. Eppure le metamorfosi delle bocche sono visibili. In questo momento della mia vita mi sono confrontato a due possibilità:

  • fare lo struzzo e non voler vedere, cosa che alla scienza riesce molto bene;
  • diventare un vero ricercatore e affrettarmi a capire l’impossibile per il sapere odierno.

Ovviamente ho scelto la seconda opzione, quella che conduce alla reale conoscenza dell’Uomo. Questo cammino è insegnato in alcune facoltà ma ci trascina inesorabilmente all’incontro con veri ricercatori del pianeta. E quel che diventa prodigioso è che, quali che siano le loro discipline, tutti giungono allo stesso punto e alle stesse conclusioni.

Che riguardi la fisica quantistica o la biologia dobbiamo accettare che il nostro sapere odierno sia del tutto insufficiente per accedere al cammino per la conoscenza. La conoscenza è una parte di noi che lasciamo alla nascita e che dobbiamo ritrovare nella nostra vita terrestre. La conoscenza viene dalle parole “con nascere” (nascere con). È innata. Il sapere ci viene inculcato. È acquisito. Eppure nella scienza detta moderna, il sapere maschera l’accesso alla conoscenza per gli scientista. (Uno scientista è una persona che si accontenta di ripetere quello che gli è stato insegnato senza mai aver verificato le fonti del suo insegnamento.)

Il sapere, al contrario, dovrebbe essere al servizio della conoscenza e questo si verifica nei veri ricercatori scientifici, quelli che non si accontentano di ripetere instancabilmente le credenze ben apprese, ma che vanno a ristudiare tutti i fondamenti del sapere ben appreso. E lì prendono coscienza che tutto il loro insegnamento è basato su dogmi non provati, forse falsi.

 

Sono un accademico di formazione e cerco sempre di rispettare il mio rigore scientifico che consiste nel non credere più sulla parola senza aver fatto il passo di controllare. Ma la scienza di oggi non ha gli strumenti necessari per questa verifica. Sarà necessario andare a cercarne altri.

Siamo ad una svolta per l’umanità. Tutti i semafori sono rossi e non possiamo più permetterci di non vederli. I denti ci portano prove concrete, visibili, riproducibili del fatto che siamo sulla strada sbagliata e tutte le bocche sono qui per urlarlo.

Finirei con due citazioni:

«Non si possono risolvere problemi con la stessa mente che li ha creati.» Albert Einstein

«Bisogna creare il mai visto, il mai sentito» Gitta Mallasz (autrice del libro “Dialoghi con l’angelo”)

Albert Einstein non era solo uno scienziato geniale ma anche un chiaroveggente e Gitta Mallasz era, credo, un’iniziata.

 

* Libro: “Nos dents, une porte vers la santé”

* Titolo italiano: “Denti & Salute”, ed: Terra Nuova

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